Panico morale Vs. sindrome nostalgica

Un essere umano su sette prova l'esperienza della migrazione. L'idea di rifarsi una vita altrove è un pensiero che ha almeno un terzo dell'umanità.

La maggior parte delle persone sceglie spontaneamente di stabilirsi altrove, una parte come sappiamo è costretta invece per sfuggire alla guerra, alla povertà e alla miseria.

Qui si ripropone l’annosa questione tra la diversa concezione e considerazione che abbiamo di noi e degli altri. Se decidiamo di andare a vivere in un qualsiasi altro punto del mondo, noi abbiamo fatto una scelta, più o meno ponderata, che ci porterà a vivere presso altri esseri umani che consideriamo uguali a noi.

Quando invece altre persone decidono di migrare, per motivi diversi e si stabiliscono vicino a noi, ecco che la questione cambia: non sono uguali a noi, il concetto di migrante assume una connotazione negativa e l’emozione primaria che proviamo è la paura.

Chiediamoci: Cosa proveremmo se noi migrati in un altro punto del mondo, percepissimo la paura degli abitanti locali nell'incontrarci, nel vederci, nel parlarci? Assurdo no?, siamo come loro!

Però evidentemente questo non vale per tutti.

Infatti, quando a vivere vicino a noi sono migranti di altre parti del mondo, siamo assaliti da quello che viene definito Panico morale, ovvero un diffuso timore che un qualche male minacci il benessere della nostra società. Gli stranieri generano ansia, perché si comportano in maniera diversa da noi, hanno usanze diverse e in qualche maniera modificano il nostro stile di vita così confortevolmente familiare.

Da un punto di vista psicologico possiamo parlare di mixofobia, paura dell’ignoto, di ciò che non conosciamo, che è diverso dai nostri abituali canoni di vita.

Susan Matt, studiosa americana delle migrazioni, ci parla della sindrome nostalgica del migrante.

Oggi, nell’era dell’instant communication può sembrare anacronistico parlare di nostalgia, “sembra quasi che le emozioni e i danni affettivi dell’emigrazione siano un ostacolo imbarazzante sulla strada del progresso e della prosperità individuale”.

In realtà molti migranti, in un ambiente che difficilmente li comprende, provano vissuti di spaesamento, depressione e sindrome da stress di acculturazione.

Quando le persone dicono che il migrante deve adattarsi alla nostra cultura, si rendono veramente conto delle difficoltà che ha una persona, che proviene da un paese completamente diverso dal nostro? Non è solo una questione di volontà, ma di reali difficoltà culturali, le stesse che avremmo noi se andassimo ad abitare in luoghi lontani.

In alcuni casi, si parla anche di psicopatologia delle migrazioni: si tratta di sindromi specifiche che derivano da anomale risposte individuali ai problemi Bio Psico socio culturali. Sono sindromi connesse alla perdita, culturalmente caratterizzate, connesse al processo migratorio, se non a violenze geopolitiche subite.

Di questo siamo capaci di tener conto?

Condivido la domanda di Rampini, che afferma: “Ma è proprio vero che il 21º secolo ci ha reso tutti cittadini del mondo, cosmopoliti e flessibili?”

A guardarci attorno, temo proprio di no, cosmopoliti e flessibili lo siamo al massimo per quei 10-15 giorni di vacanza in cui l’Altro è gioia e scoperta da raccontare.