Ci camminiamo sopra ogni giorno, ma quanto lo conosciamo? “Il suolo: questo sconosciuto”
è la parte più superficiale della terra, fondamentale per la nostra sopravvivenza. Nella Giornata Mondiale del Suolo, scopriamo qualcosa in più su questa entità naturale vivente.
Per prendersi cura del mondo in cui viviamo è importante conoscerne tutti gli aspetti, soprattutto quelli che diamo per scontati, che non attirano la nostra attenzione.
Eppure sono fonte di vita (o di morte) per il nostro pianeta.
Il 5 dicembre è la giornata mondiale del suolo, che forse non tutti sanno essere un organismo vivente.
Il suolo è lo strato più superficiale della Terra e viene definito come un'entità naturale composta da solidi (50%), acqua (25%) e aria (25%). La componente solida è costituita da minerali (45%) e sostanza organica (5%). Le particelle di dimensioni superiori ai 2 mm costituiscono lo “scheletro del suolo”.
Quello che ci interessa sapere, poiché l'uomo interviene in maniera consistente sul suolo, è che ci vogliono dai 100 ai 1000 anni (a seconda dell'ambiente terrestre, che è molto diversificato) per formare un solo centimetro di suolo, ma che questo può essere eroso in pochi giorni se il suolo non è protetto.
Il nostro benessere è quindi, ancora una volta, strettamente intrecciato con la salute dell'ambiente e in particolare
Il suolo ospita una miriade di organismi viventi, e la loro diversità e quantità è di gran lunga maggiore di quella che si trova al suo esterno. Addirittura, ci sono più organismi viventi in un cucchiaio di suolo che abitanti sulla terra!! L’Earth Institute stima che in 1 mq di suolo si possa trovare fino a 40 g di lombrichi, 108 g di funghi, 68 g di batteri, 40 g di artropodi, oltre a qualche piccolo mammifero come le talpe. Questi sono tutti organismi fondamentali per l'ecosistema in cui viviamo.
Infatti, senza un suolo di buona qualità le coltivazioni non potrebbero sopravvivere e ciò porterebbe a fame e carestia. Secondo la FAO, il 99% del cibo proviene dal suolo. Il restante 1% proviene da ecosistemi acquatici come oceano e fiumi.
Il suolo e i bambini.
Il suolo è importante non solo per l'alimentazione, le materie prime, l'abbigliamento e il riscaldamento: alcuni studi dimostrano che giocare con la terra (e più in generale, all’aperto) aiuta anche i bambini a sviluppare un sistema immunitario più forte, una curiosità maggiore e lo spirito d’avventura.
Molte persone, inoltre, sentono un legame emotivo con la loro terra, per loro indica il posto in cui sono nati ed è la terra che i loro antenati hanno calpestato per generazioni.
Gli esperti di pedologia (da non confondere con podologia, che si occupa invece del benessere del piede) si occupano di svariati aspetti inerenti il suolo, che spaziano da tematiche agricole, ambientali, di salvaguardia del suolo come bene comune, della tutela degli ambienti naturali, della pedo-archeologia, del recupero di suoli degradati, dello studio delle componenti mineralogiche, fisiche e chimiche e biologiche del suolo.
Se vi affascina la terra su cui camminiamo e vorreste collaborare alla sua salvaguardia, potreste pensare di diventare ambasciatori del suolo!
Per saperne di più: http://www.scienzadelsuolo.org/_docs/meetings/171201_Convegno25gennaio2018.pdf
I nuovi schiavi
Oggi è la Giornata internazionale per l'abolizione della schiavit. Si parla di oltre 40 milioni di individui, di cui un quarto sono bambini
Il 2 dicembre è la Giornata internazionale per l'abolizione della schiavitù, istituita nel 1949 in seguito all'approvazione da parte dell'Assemblea generale della Convenzione delle Nazioni Unite per la repressione del traffico di persone e dello sfruttamento della prostituzione altrui.
Ora, a che punto siamo? Probabilmente molti di noi pensano che la schiavitù sia superata, tipica di altre epoche, invece qualche anno fa si parlava di 27 milioni di poveri, migranti e donne nel mondo vittime del fenomeno da parte di organizzazioni criminali transnazionali.
Ora si parla di oltre 40 milioni di individui, di cui un quarto sono bambini.
La tratta di esseri umani è considerata uno dei reati più gravi a livello mondiale e costituisce una pesante violazione dei diritti umani.
Questa ha varie forme: anche alcuni matrimoni forzati, per esempio, possono rientrare nella definizione di tratta di esseri umani.
stico il lavoro sono solo alcuni esempi di lavoro forzato. Ma ciò non significa che sia inevitabile.
Andrew Forrest, fondatore e presidente della Free Walk Foundation afferma: «Sradicare la schiavitù è giusto moralmente, politicamente, da un punto di vista logico ed economico.”
Come sempre sostengo che prima di tutto serve avere consapevolezza dell'esistenza di un fenomeno misconosciuto, poi serve scoprirlo e pensare a come contribuire al cambiamento.
O siamo troppo schiavi noi stessi del nostro Ego, che ci suggerisce di dedicarci alla condivisione di qualche frase mielosa sui social, adottando la politica dello struzzo, “perché io ho già i miei problemi”?
Guardiamo il fenomeno da un punto di vista psicologico: nelle dimensioni del benessere oggettivo vi è anche la caratteristica della libertà. Noi siamo liberi. Abbastanza. Riusciamo a capire cosa significa essere privati della libertà? Sottostare al volere altrui, di qualcuno che ci tratta come un oggetto, e di poco valore?
Immaginatevi così e ciò produrrà in voi un moto di ribellione potente.
Ma le persone schiave non possono nemmeno ribellarsi.
Credo sia importante da una parte capire che siamo dei privilegiati, dall'altra non girare la testa di fronte ai mali del mondo.
Essere partecipativi, ognuno a modo proprio, contribuisce al bene dell'umanità, ma anche individualmente ad aumentare il benessere e la qualità della nostra vita.
O preferiamo essere schiavi solo dei nostri smartphone?
Per approfondire: http://50forfreedom.org/modern-slavery/
Benessere sociale e ascolto attivo
L'aspetto sociale è strettamente legato alla percezione della qualità di vita che abbiamo di noi stessi e degli altri.
Il benessere della persona coinvolge molti aspetti e non solamente la salute psicofisica di cui si parla molto.
Se da anni ci ripetono di muoverci, di camminare e di alimentarci in maniera sana e contenuta, per parlare di vero benessere è necessario prendere in considerazione anche altri aspetti della vita.
L'aspetto sociale, in particolare, è strettamente legato alla percezione della qualità di vita che abbiamo di noi stessi e degli altri.
Dobbiamo chiederci per esempio se abbiamo delle relazioni soddisfacenti: un grado di apertura verso l'altro che ci permette di scambiare opinioni e sensazioni, un modo di porci basato su rispetto e gentilezza, una capacità di ascoltare veramente il nostro prossimo, così come vorremmo essere ascoltati noi.
Spesso osservo invece la poca attenzione verso l'altro: dialoghi aggressivi, dove ognuno interrompe l'altro per esprimere la propria idea, cambiare discorso mentre una persona ci sta raccontando un fatto, non lasciare il tempo di esprimersi con calma alle persone più avanti con gli anni.
Eppure siamo “animali sociali”, abbiamo un grande bisogno di relazioni.
La solitudine è un profondo malessere che come un cancro divora le persone.
Quando sento qualcuno dire che “non si può più parlare con la gente”, obietto che possiamo fare uno sforzo e provare per primi noi a cambiare e a provare a vedere le cose da un'altra angolazione.
Sono sempre disponibile ad un ascolto attivo?
Ascoltare comporta un processo attivo e complesso, non è un sinonimo di “sentire”.
L'ascolto attivo, quello che porta benessere nell'altro, è formato da vicinanza emotiva, da interesse verso l'altro (I care of you) e veicola un feedback positivo riassumibile nella frase: “Sei importante per me (accetto di entrare in relazione con te) e non ti giudico (ti accetto come sei).”
Ne siamo davvero capaci?
(articolo uscito su Liberetà, giugno 2015)
Sono fin troppo tollerante! Ne sei proprio sicuro?
La diversità dovrebbe essere avvertita come una ricchezza, con cui interagire e da cui apprendere, anziché generare timore e sospetto.
Il 16 novembre è la #giornatamondialedellatolleranza.
Tolleranza: Atteggiamento di rispetto o di indulgenza nei riguardi dei comportamenti, delle idee o delle convinzioni altrui, anche se in contrasto con le proprie.
Sentiamo spesso persone esprimere con convinzione le frasi “Ognuno può pensarla come vuole!” oppure “Io rispetto le idee di tutti”, salvo poi notare come si infervoriscono se gli altri non la pensano come loro!
Siamo davvero tolleranti, quindi? O lo siamo solo a parole?
Essere in grado di accettare un punto di vista diverso dal nostro, comporta una capacità psicologica fondamentale: quella dell'apertura mentale, accompagnata da una altre non meno importanti, quali una buona autostima, un equilibro interiore e una discreta capacità comunicativo-relazionale.
Sembra molto, ma sono tutte caratteristiche che si possono sviluppare e migliorare col tempo, purché via sia la motivazione di fondo di avere interesse per l'altro, per chi o ciò è diverso, molto diverso da me.
La conoscenza ci permette di divenire più tolleranti e di sgretolare quelle rigidità mentali che non ci permettono di avere una visione completa del mondo, ma che tendono invece a farci adagiare su stereotipi e pregiudizi vetusti, difficili da scardinare.
La diversità dovrebbe essere avvertita come una ricchezza, con cui interagire e da cui apprendere, anziché con timore e sospetto, come spesso accade.
Il pensiero, i comportamenti, le usanze sono variegate, e per questo fonte di conoscenza e di indispensabile confronto.
Nel 1999 Daniel Siegel ha sviluppato un concetto interessante: la finestra di tolleranza, legata ad eventi traumatici che minano la nostra capacità di apertura verso l'ambiente.
Suggerisco di provare ad utilizzare questa finestra di tolleranza, in tutti gli ambiti, declinandola in atti di solidarietà, di gentilezza, di aiuto, ma soprattutto di ascolto, ascolto vero di tutto ciò che ci circonda e ci infonde un più alto livello di benessere percepito.
Una qualità sempre più rara: la gentilezza. Perché non siamo più gentili?
Diversi studi hanno evidenziato come essere gentili provochi reazioni fisiche che ci fanno sentire meglio.
Il 13 novembre è la mondiale mondiale della gentilezza, nata con l'intento di di guardare oltre noi stessi, ma anche oltre le nostre culture, etnie e religioni.
Essere gentili con l'Altro è un modus vivendi, ancorato a specifiche caratteristiche di personalità. Il soggetto che compie con naturalezza atti di gentilezza, denota attenzione verso l'altro, verso l'ambiente, possiede capacità attentiva, empatica, apertura mentale.
Ma essere garbati è soprattutto un comportamento che apporta un indiscutibile benessere psicofisico: lo svolgimento di azioni di aiuto provoca piacevoli sensazioni di distensione, calma, euforia, simili a quelle che si provano dopo uno sforzo muscolare. Si parla di ‘euforia del buon samaritano’.
Inoltre, recenti studi collegano l'azione cortese con la produzione di ossitocina. Questa provoca il rilascio di una sostanza chimica chiamata ossido nitrico nei vasi sanguigni, che dilata i vasi sanguigni, riducendo la pressione sanguigna. L'ossitocina rallenta anche la produzione di radicali liberi, e quindi rallenta l'invecchiamento.
L'azione gentile, determina l' aumento dei livelli di dopamina nel cervello, ottenendo un elevato e naturale effetto chiamato Helper’s High, che possiamo definire come una sensazione di profonda euforia seguita da gradevole tranquillità.
Al contrario, essere sempre arrabbiati, ostili, insoddisfatti riduce profondamente il benessere e aumenta il rischio di malattie psicosomatiche.
Non secondaria è l'importanza delle relazioni sociali: la gentilezza le mantiene e le rafforza: tutti noi preferiamo relazionarci con chi ci rispetta e ci “coccola”.
Io suggerisco sempre di non attendere che l'altro sia gentile, ma di fare il primo passo: in questo modo starò meglio io, farò stare meglio il prossimo, ma metterò in moto anche una sorta di contagio benefico: chiunque riceva un atto di gentilezza è più propenso a fare altrettanto.
Insomma, la gentilezza è caratteristica che migliora la qualità della vita ogni giorno e che spesso fa la differenza anche nel tono dell'umore: I gesti gentili sono le migliori carezze. (Stephen Littleword)
Guerre e ambiente: una riflessione ignorata
Le guerre e i conflitti armati sono ovunque intorno a noi, e creano - oltre alle vittime - spazi inagibili e pericolosi anziché aree di sviluppo economico e benessere per milioni di persone.
Il 6 novembre è la Giornata Internazionale per la Prevenzione dello Sfruttamento dell’Ambiente in Tempo di Guerra e di Conflitto Armato.
Non serve dire che questa giornata andrebbe celebrata ogni giorno dell'anno, ma almeno in questa data si cerca di sensibilizzare le persone verso una distruzione ambientale, che è anche un silenzioso modo di porre fine alle risorse per vivere in futuro.
Sempre più spazi inagibili e pericolosi, dove si potrebbe creare sviluppo economico e benessere per milioni di persone.
Pensate che le guerre siano relegate in poche zone del mondo “calde”?
Attualmente sono coinvolti in conflitti 29 stati dell'Africa, 16 stati asiatici, oltre a 7 in medio oriente.
Sono 6 gli stati coinvolti tra America del Nord e America del Sud.
E nella apparentemente pacifica Europa, ben 9 stati.
Certo, stiamo parlando di vere e proprie guerre, ma anche di scontri tra milizie-guerriglieri, gruppi terroristi-separatisti-anarchici coinvolti. Questo non rende meno duro il territorio in cui vivere.
Oltre alle tragedie legate alle perdite umane e ai traumi dei sopravvissuti, compromettere nel lungo periodo gli ecosistemi e le risorse naturali, porta a un impoverimento generale del suolo, del mondo vegetale ed animale.
La prospettiva di crescita demografica ci indica che la via da percorrere è rispettare il nostro pianeta e renderlo più sano e vivibile.
I conflitti lo rendono invece pericoloso (basti pensare alle mine inesplose o all'avvelenamento di corsi d'acqua, o ad esperimenti nucleari in zone sconosciute) e ogni giorno più infecondo.
Spesso gli effetti negativi si estendono oltre i territori nazionali coinvolti e giungono alle generazioni successive che, incolpevoli, provano a combattere, con le (a volte scarse) risorse a disposizione, la desertificazione e la distruzione vegetativo-animale.
Una ragione in più per riflettere, dato che i conflitti, ovunque essi siano, riguardano tutti noi e il nostro futuro.
Casa-scuola da soli? Come creare futuri adulti consapevoli
L'importante è preparare i nostri figli insegnando loro ad essere responsabili e attenti a quanto avviene intorno a loro
Come creare futuri adulti consapevoli e saggi.
Ai nostri tempi non servivano liberatorie. Alle scuole medie ci si andava da soli. E in molti casi anche negli ultimi anni delle scuole elementari.
Cosa è cambiato oggi? Sicuramente la minore percezione di sicurezza, anche se in molti casi è proprio tale percezione che non ci consente di leggere oggettivamente la realtà e quindi di valutare più insicure situazioni che tutto sommato sono tranquille.
Ma prima ancora di questo appare evidente la carente educazione che i preadolescenti ( ovvero i ragazzini tra gli 11 e i 13 anni) hanno ricevuto durante gli anni delle scuole elementari, da genitori, parenti, insegnanti, società intera.
Un secolo fa si cresceva più in fretta. L'adolescenza nemmeno esisteva. Si passava repentinamente dal bambino dell'adulto.
Pre-adolescenza e adolescenza offrono oggi il vantaggio di un "rito di passaggio" concordemente soft.
Ma questo dovrebbe porre le fondamenta in una attenta e specifica educazione riferita all'ambito della crescita psicofisica, pertanto al fatto che si sta diventando grandi, ma che non lo si è ancora.
Serve quindi insegnare ad essere accorti, attenti a ciò che succede intorno a noi, prudenti ma non timorosi, come nemmeno troppo convinti di essere scaltri.
Non servono lunghe lezioni teoriche, quanto piuttosto insegnare ad osservare, ad ascoltare ciò che accade nell'ambiente, e questo lo si può fare nel tempo che si trascorre insieme (famiglia, scuola, amici).
Fa d'uopo ritenere che la situazione migliore consista nel percorrere almeno gran parte della strada del ritorno a casa con i compagni che abitano vicino a noi, evitando vie deserte o percorsi poco illuminati.
L'importante è non insegnare la paura ai nostri figli, ma la responsabilità. E la prontezza su cosa attuare in caso di pericolo o di situazioni ambigue. Così cresceranno persone più sicure, più protette ma anche capaci di relazionarsi adeguatamente con gli altri e di affrontare con resilienza le difficoltà della vita.
Risparmiatore e o spendaccione? Lo scopriamo oggi: giornata mondiale del risparmio
Il 31 ottobre è la Giornata mondiale del Risparmio.
Siete formiche o cicale?
Il 31 ottobre è la Giornata mondiale del Risparmio.
E' stato un economista italiano, Maffeo Pantaleoni, nel 1924, che ne ispirò la creazione in un congresso dell’Istituto Internazionale del Risparmio.
Milioni di persone in tutto il mondo cercano di mettere da parte un gruzzolo per il futuro. Buone prassi. Altre invece, non riescono a resistere al fascino dell'acquisto e spendono tutto ciò che guadagnano. Alcune anche più di ciò che posseggono, accumulando debiti.
Ma cosa porta le persone a risparmiare o, al contrario, ad avere le mani bucate?
Risparmiare oggi è diventano un compito difficile, ma non impossibile. Se l'ultimo rapporto Eurispes ci dice che solo una persona su quattro è in grado di economizzare, il buon risparmiatore riesce a conservare il 5-10% dei propri guadagni (percentuale suggerita dagli economisti).
In questo caso si tratta di valutare con oculatezza le spese e conservare con costanza un po' di soldi per spese improvvise o progetti futuri, prevenendo l'ansia.
Dilapidare grandi o piccole somme di denaro in maniera continuativa, invece rientra nei disturbi ossessivo-compulsivi, in particolare in questi anni sotto forma di shopping compulsivo, una vera e propria patologia che crea dipendenza.
Va invece prestata attenzione alla sindrome che colpisce chi ha una vera e propria ossessione per il risparmio: si chiama iperopia ed è causata da una visione distorta del patrimonio: in pratica gli iperopici non riescono a vivere il presente, perché ossessionati dalla paura di ciò che potrebbe accadere in futuro. In questo modo, perdendo la capacità di vivere il presente, possono divenire depressi, cronicamente insoddisfatti e quindi infelici.
Serve quindi trovare la giusta via di mezzo tra l'assomigliare alla formica oppure alla cicala, per poter risparmiare, ma anche godersi la vita.
Vorrei aggiungere che l’educazione al risparmio è un tema attuale, che non riguarda solamente il denaro, ma anche il tempo, e il rispetto dell’ambiente.