Odio e Paura - Stiamo virando verso la fine?
Il clima di odio e di attacco indiscriminato all’altro è un segnale di grave crisi sociale e per questo non va sottovalutato.
I fatti recenti di cronaca ci inducono a soffermarci su alcune riflessioni: l’odio razziale che fomenta focolai di intolleranza e comportamenti beceri in varie parti del mondo, dove ci condurrà?
Durkheim, alla fine dell’800, parla di suicidio anomico, commesso generalmente da persone le cui passioni e i cui desideri vengono violentemente repressi da una disciplina o da regole oppressive. Possiamo trasportare questo concetto al mondo attuale in cui un individuo non si riconosce più nella società lontana dai valori fermi in cui crede: solidarietà, rispetto, condivisione?
Le persone oggi sono molto più arrabbiate e quindi aggressive, piuttosto che tristi e rassegnate rispetto ad un tempo. Per questo ritengo che ben pochi possano pensare al suicidio come modalità di rifiuto di un società che non sentono loro.
Tuttavia, e proprio per questo essere più aggressivi, il non appartenere al proprio mondo può portare ad azioni eccessive, se non definitive.
Il clima di odio e di attacco indiscriminato all’altro è un segnale di grave crisi sociale e per questo non va sottovalutato. Non ci possiamo sempre nascondere dietro una tastiera e minimizzare i tragici fatti accaduti, magari inveendo grossolanamente contro un “sistema”.
Stiamo diventando “brutti”, oltre che bruti e indifferenti a tutto.
Odio e indifferenza hanno portato le masse verso l’accettazione di olocausti. Abbiamo poca memoria?
Siamo sempre pronti a sostenere che non accadranno più genocidi, solo perché siamo tecnologicamente più evoluti?
Dobbiamo chiederci se siamo ancora in grado di non seguire l’onda corvina e di nuotare controcorrente, perché è la nostra umanità ad essere messa a repentaglio.
Rilassamento autentico con il training autogeno
Ad ogni età e senza controindicazioni, con il rilassamento si ricostruisce quel dialogo intimo con la propria coscienza che permette di fare chiarezza aiutando ad affrontare anche i problemi quotidiani.
Ciò che sembra ineluttabile è vivere in continua evoluzione. Sicuramente siamo sempre in movimento in un mondo che corre e si trasforma.
E siamo abituati ad usare soprattutto l'emisfero cerebrale sinistro, da cui dipendono capacità logiche, analitiche, verbali e la percezione del tempo. Spesso releghiamo in un angolo della mente le attività proprie dell'emisfero destro: immaginazione, intuizione, ispirazione che sono anche le fondamenta della creatività.
E corriamo, svolgendo contemporaneamente più attività, come se non ci fosse un domani, subendo un'eccessivo livello di stress che ci procura malessere, stanchezza, stati d'ansia.
Per raggiungere un buon equilibrio interiore e ridurre il disagio anche di tanti disturbi psicosomatici, serve prima di tutto sapersi rilassare.
Apparentemente facile da utilizzare, il rilassamento è uno strumento di benessere di cui la maggior parte delle persone non sembra essere in grado di avvalersi.
Il rilassamento implica tecniche di controllo della respirazione e di concentrazione mentale che apportano un profondo beneficio nel corpo e nella mente.
Il metodo più conosciuto e studiato al mondo è il training autogeno, in cui la persona, seguendo un percorso con specifici esercizi giunge ad uno stadio di rilassamento e benessere profondi, attenuando molti disturbi (insonnia, mal di testa, ansia..) e ritrovando una dimensione interiore che lo stress ha contribuito a sgretolare.
Ad ogni età e senza controindicazioni, con il rilassamento si ricostruisce quel dialogo intimo con la propria coscienza che permette di fare chiarezza aiutando ad affrontare anche i problemi quotidiani.
Un semplice esercizio di respirazione lenta e ritmata, inspirando con il naso ed espirando con la bocca, lentamente, per qualche minuto, immaginando un paesaggio naturale, apporta un primo grande giovamento che può far partire il mattino col piede giusto o terminare meglio la giornata la sera.
Molte ricerche hanno evidenziato che l'alternare momenti di attività a momenti di rilassamento permette di svolgere al meglio tutte le attività quotidiane e stimola l'apprendimento, per es. di una lingua straniera o di un nuovo compito.
Concedersi un momento quotidiano di relax ci dà quindi la possibilità di ritagliare un angolo tutto nostro, che apporta grande serenità e incrementa la nostra capacità introspettiva. Ma ci rende anche più lucidi, concentrati e pieni di energia. Senza aiuti chimici, solo con l’utilizzo più amplio della nostra mente.
Per ottenere il meglio dal tempo dedicato al rilassamento e ottimizzare il tempo di raggiungimento di una migliore forma di benessere complessivo, è preferibile frequentare un unico corso, completo, di training autogeno, la tecnica più conosciuta al mondo, mai scalzata dalle mode di altri stili di rilassamento, anche se messa in ombra da esse.
L’aspetto interessante è che una volta acquisita la tecnica, la si può utilizzare ovunque e per sempre, pertanto il corso è un ottimo investimento nell’ambito del benessere: si comincia a stare meglio fin da subito, ma dopo la fine del corso si può stare meglio in ogni luogo e in ogni momento. Per esempio: 10 minuti di training autogeno rigenerano corpo e mente come due ore di sonno.
Perché non provare a stare veramente bene?
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Smetti di rinviare: agisci ora!
Per quale motivo siamo inclini a tergiversare? E’ solo questione di pigrizia?
Non sempre . Scopriamo i motivi che ci portano a rinviare le azioni che abbiamo in mente.
Il cervello: organo meraviglioso, in grado di ideare ed elaborare migliaia di pensieri e immagini al giorno (uno studio dice circa 60.000). Questo ci pone spesso davanti alla scelta di quali idee concretizzare, in che modo e soprattutto quando. E qui spesso si inizia ad indugiare, a tentennare, perché forse non è il momento adatto o forse serve studiare meglio il piano da realizzare. Forse non è il procedimento corretto, forse serve aiuto, forse...forse…
E si finisce con un unico finale: “Ci penserò domani!..”
Per quale motivo siamo inclini a tergiversare? E’ solo questione di pigrizia?
Non sempre, ci sono una serie di motivi che ci portano a rinviare le azioni che abbiamo in mente.
Alcuni autori sostengono che procrastinare sia un modo per affrontare e proteggersi da certe paure, legate ad inadeguatezza, paura di fallire o rifiuto delle responsabilità.
Secondo altri, alla base di questo comportamento c’è un problema di gestione del tempo, ovvero cercare di applicare una tecnica di organizzazione, ma rimanere intrappolati nell’indecisione riguardante il modo di attuarla (perdendo tempo).
Vi è una personalità tipica del temporeggiatore?
Qualcuno tra noi è semplicemente pigro e quindi non si preoccupa di ciò che viene rimandato, ma la maggior parte di noi, nel posticipare, prova sensi di colpa, sentimenti conflittuali tra ciò che fa e ciò che vorrebbe fare. Pertanto innalza il livello di stress e quindi di malessere.
E’ importante quindi stare attenti e ascoltare il proprio disagio: se desideriamo davvero portare a termine gli obiettivi che ci prefiggiamo, proviamo ad analizzarne i motivi e solo successivamente potremo mettere in atto le tecniche adeguate per superare l’impasse.
Chiediamoci quindi se l’obiettivo da raggiungere è chiaro, se abbiamo paura del rischio, se viviamo il futuro con ansia, se siamo troppo perfezionisti, se siamo spinti a muoverci solo da pressioni esterne o se ci sentiamo manipolati dagli altri, etc.
Chiarito l’aspetto che più ci riguarda, potremo attivare delle tecniche partendo da alcuni punti fermi: riconoscere lo stato d’animo che provo quando mi attivo e quale invece mi spinge a rinunciare; stimolare la propria mente utilizzando in un compito tutti e 5 i sensi, anziché uno solo e quindi immergersi pienamente in quello che facciamo; cambiare alcune abitudini improduttive; stabilire delle priorità; cominciare facendosi aiutare da qualcuno (es. nel decluttering) e così via.
Bisogna muoversi con piccoli obiettivi, perché il cambiamento è sempre faticoso e se tentiamo di rivoluzionare la nostra vita in un colpo solo, avremo maggiori probabilità di fallire e di ritornare sui nostri passi.
Se ritenete che un incarico sia troppo complicato, suddividetelo in più parti.
Se pensate di avere troppi impegni, imparate a programmare, anche per iscritto, con mansioni mattutine, pomeridiane e serali.
Per incoraggiarvi visualizzate in positivo il risultato che raggiungerete.
Se davvero le incombenze sono eccessive rispetto al tempo a disposizione, imparare a delegare: non siete gli unici in grado di farlo, fidatevi degli altri.
E soprattutto: liberatevi dalla pesante logica del tutto o niente. Tipica del perfezionista, che vive in un sistema di idee grandiose, è la base della procrastinazione e una delle cause principali che rendono la sua vita difficile e lo fanno sentire perennemente insoddisfatto.
Benessere significa anche cambiare direzione, attivarsi e sentire l’ansia diminuire drasticamente.
Un compito eseguito e archiviato diffonde in noi grande serenità e soddisfazione e muove il pensiero di ripetere l’esperienza piacevole. E’ un effetto domino.
Quindi possiamo affermare che il momento migliore, quello più giusto per smettere di rinviare è...ora!
Il curioso orologio di chi (dice) “non ho mai tempo”.
tutti, prima o poi si sentono soffocati dal “dover fare” e dal non avere sufficiente tempo a disposizione. Scopriamo come organizzarci per evitare questa brutta sensazione
Organizzati, precisi, puntuali. Spesso aneliamo a diventare persone superefficienti, rigorose, pienamente soddisfatte e vincenti. Ma siamo fortemente convinte che chi vi riesce non abbia tutti gli impegni e i contrattempi con cui quotidianamente combattiamo noi.
Il tempo ha sempre rappresentato un grande enigma, soprattutto per i temporeggiatori, che non sanno calcolare bene il tempo che servirà loro per portare a termine un lavoro, perché ne hanno una visione distorta.
Ma, in generale, tutti, prima o poi si sentono soffocati dal “dover fare” e dal non avere sufficiente tempo a disposizione. E’ uno dei motivi per cui l’ansia è un disturbo sempre più diffuso in questa società.
Non sapere organizzare la giornata e improvvisare è già partire col piede sbagliato, a meno che non ci importi molto delle conseguenze. Nella maggior parte dei casi, però, il desiderio di riuscire è autentico e ci imprime molta forza per il raggiungimento dell’obiettivo.
Spesso ci perdiamo nei dettagli, oppure cerchiamo di tamponare i vari impegni “in qualche modo”.
Forse sarebbe più utile e più rasserenante riuscire ad organizzare meglio il proprio tempo.
Come?
Per prima cosa serve considerare accuratamente quanto tempo impiegherò a portare a termine ciò che mi sono prefisso: imbiancare una parete, redigere un dossier, leggere un libro...non importa il tipo di compito, serve però una certa precisione, basandosi su aspettative realistiche (questi esempi non potrò portarli a termine in 10 minuti!).
Utilizzare piccole parti di tempo: spesso non abbiamo e non avremo quasi mai a disposizione tutto il tempo di cui necessitiamo. E allora è indispensabile saper utilizzare anche i ritagli di tempo, le attese forzate e iniziare: con piccoli passi ci sentiremo gratificati e avremo consapevolezza che il lavoro da terminare sarà sempre più breve.
Una modalità particolare per organizzare le varie attività è quella di dedicare di ognuna di esse un’ora esatta, scandita da un timer, che ci ricorda di passare alla successiva.
In questo modo sappiamo che stiamo portando avanti diversi impegni e ci sentiremo meglio.
Altro suggerimento: aspettatevi sempre degli ostacoli o delle difficoltà impreviste. Certo, tutti vorremmo che filasse tutto liscio, ma quasi mai accade, poiché siamo in relazione con gli altri e le loro esigenze. Se lo metto in conto, potrò riuscire a non sprecare tempo prezioso in collera e sfoghi inutili e dannosi, che rallenteranno i lavori e modificheranno negativamente il tono dell’umore, allungando i tempi previsti per concludere.
Inoltre, serve capire in quale parte della giornata ci sentiamo più carichi di energia: ci sono i gufi e ci sono le allodole: i primi migliorano le proprie prestazioni man mano che passano le ore, e sono in ottima forma verso sera; le seconde sono pimpanti di prima mattina e col trascorrere della giornata perdono sempre più il ritmo. Cerchiamo di svolgere i lavori più impegnativi nelle ore per noi migliori.
E poi, sembrerà strano, ma è importante saper godere del tempo libero: quale? Quello che riuscirete a ritagliarvi nel momento in cui saprete che:
1- non si può avere tutto sotto controllo;
2- bisogna imparare a delegare una parte del proprio lavoro
3- utilizzerete la matrice di Eisenhower sulla gestione del tempo:
Se oggi avete in lista 10 cose, suddividete le 3 da fare subito, le 2 da fare più tardi e le cinque che, darete in mano a qualcun altro o rimanderete a domani.
Ciò che conta, aldilà delle formule, è non ritrovarsi domani con tutte e 10 le cose da fare!
Iniziate da ora a non subire più il tempo, l’eccesso di ansia e lo smarrimento.
Molti di quelli che ce l’hanno fatta, un tempo erano proprio come voi!
Esprimerci ci mantiene in salute
Nella maggior parte dei casi, è preferibile esprimere la nostra idea, anche se questa non è in accordo con il pensiero dell'altro. Ma non è facile.
Quando trovo frasi sul web come “Alla fine passa per cattivo chi ha sopportato tanto e ha perso la pazienza”, mi stupisco e mi inquieto dell’ingenuità delle persone.
Chi scrive o condivide comunque frasi come questa, chiaramente ha scarse capacità comunicative, ma, cosa più importante, trasmette un concetto distorto dei concetti di buono e cattivo.
Se una persona sopporta tanto, prima o poi scoppierà. Ma l'errore è proprio questo: non comunicare il nostro dissenso man mano che ci accadono situazioni o abbiamo a che fare con persone il cui operato o le cui parole non ci appagano.
Pertanto il rimanere sempre zitti è un grosso errore, che ci porterà inevitabilmente a un punto di non ritorno, in cui il vaso di Pandora si scoperchierà e ne usciranno troppe cose, molte delle quali nulla hanno a che fare con la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
E usciranno in malo modo, provocando reazioni a catena, conflitti, per la insoddisfazione di tutti.
Non vorrei essere fraintesa: qualche volta è preferibile lasciar perdere.
Ci sono momenti relazionali in cui sorvolare si rivela la scelta più adatta.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi, è preferibile esprimere la nostra idea, anche se questa non è in accordo con il pensiero dell'altro. Ma non è facile.
Un buon corso sulla comunicazione assertiva e non violenta, può aiutare.
Affermo questo perché esprimerci ci fa stare bene, ma solo se sussistono alcune condizioni:
1- siamo in grado di comunicare il nostro punto di vista senza arrabbiarci e senza utilizzare toni accusanti o giudicanti.
2- siamo capaci di non provare ansia eccessiva o successivamente sensi di colpa privi di fondamento
3- siamo consapevoli che il confronto tra opinioni diverse è fonte di crescita e di evoluzione psicologica verso un maggiore benessere.
Sembra difficile?
Ripensiamoci preparati a sostenere un confronto pacato e produttivo.
La fonte principale di aggressività dell’individuo oggi deriva proprio dalla incapacità o dalla modalità distorta e disfunzionale di comunicare correttamente.
E arrabbiarci, si sa, comporta a lungo andare vari disturbi, dal mal di stomaco al mal di testa, ai dolori articolari. Ma spesso non colleghiamo corpo con mente.
Allora, per migliorare il nostro stato di salute meglio sperimentare nuove modalità comunicative e relazionali, perché con il prossimo abbiamo a che fare quotidianamente e la salute, si sa, viene prima di tutto.
L'argomento ti interessa e ti piacerebbe approfondirlo?
Dal 25 giugno 2018 sono aperte le iscrizioni al
Corso online di comunicazione assertiva e non violenta
Società liquida o gassosa?
Viviamo in una specie di vortice dove il piacere di lasciare il segno, qualsiasi esso sia, è maggiore della scelta del contenuto, della parola adatta al contesto.
Viviamo in una società liquida, come suggerisce Baumann? Io penso che il passaggio degli ultimi anni non sia solamente dallo stato solido e quindi con saldi valori universali quali il rispetto, la gentilezza, la solidarietà, allo stato liquido e quindi impalpabile, sfuggente, sempre in trasformazione. Io credo che l’umanità sia arrivata oramai ad uno stato gassoso, dove ognuno si sente in diritto di giudicare, di sentirsi superiore all’altro, di essere pieno di sé, uno stato individualista, egocentrico, narcisista come neanche Freud avrebbe potuto mai immaginare potessimo diventare in futuro. Non tutti, certo, per fortuna.
Ma è sufficiente leggere taluni commenti sui social network, per avvedersene.
Ci siamo proprio così involuti, pur avendo un grado di istruzione mediamente molto più alto di un tempo, la possibilità di avvalerci di diversi strumenti culturali, forme d’arte, media per confrontarci e riflettere?
Veniamo a conoscenza di tutto e subito, e condividiamo in tempo reale il nostro pensiero riguardante qualsiasi argomento, anche di cui non sappiamo nulla, seguendo il torrente di commenti di altri umani, di cui, ancora una volta non sappiamo quasi nulla.
Una specie di vortice dove il piacere di lasciare il segno, qualsiasi esso sia, è maggiore della scelta del contenuto, della parola adatta al contesto.
Siamo capaci di superficialità come di ferire, ma se ce lo rimproverano, non lo accettiamo, additando la scarsa capacità altrui di riconoscere la verità. Ben inteso, la nostra verità, ma tant’è: l’altro è sempre permaloso, ottuso, lento, mentre noi siamo anni luce avanti, siamo sagaci, brillanti e arguti.
Siamo persone allo stato gassoso, piene d’aria, di noi stessi, piene di nulla.
E così, quando qualcuno tenta di farci vedere il vuoto di cui c’attorniamo, noi respingiamo con veemenza ogni considerazione che non esprima il nostro pensiero, che non condivida il nostro fluttuare nelle bollicine, che sanno farci assaporare una realtà deformata, a volte distante e a volte appiccicata a noi, come un vestito sudato. E la sensazione che proviamo è proprio quella, di dovercelo levare al più presto, di dover pulire la pelle, di lasciarla respirare, di sciacquare via tutte le esegesi, le sentenze e i punzecchiamenti di persone sconosciute, che ci hanno preso di mira, talvolta per farci imbestialire, per godere della nostra risposta carica di rabbia, talvolta solo per sentirci vivi, esistenti in mondo virtuale che batte 10 a 0 quello reale.
Comunichiamo con la convinzione di saperlo fare meglio degli altri, o di buttarci nella mischia, seguendo un leader immaginario e carismatico, che sostituisce mentalmente la oramai manchevole fiducia in quelli veri, che non reputiamo più, come un tempo, preparati e molto più competenti di noi, ma meschini e sterili di ideali.
Ma noi, sempre pronti a seguire il gregge nel belare contro il potere, saremmo poi capaci davvero di prendere in mano la situazione e di cambiare le cose?
O non sarà solo un abbaiare alla luna?
Serve allenare i giovani a nuovi pensieri, noi siamo una generazione perduta tra i meandri di frasi fatte su Facebook, cinguettii fatiscenti su Twitter e qualche immagine ancora emozionante su Instagram, sappiamo salvarci? O non abbiamo sufficiente esperienza di questo mondo online?
I nativi digitali possono modificare con più facilità l’ansa del fiume e correggere la vacuità di un’esistenza che ripropone il martellante “sentito dire”.
Se lo desideriamo anche noi, armiamoci di santa pazienza e tentiamo di scuoterci di dosso la polvere pirica del sospetto e della legittimità. Servirà rivoluzionare la nostra consapevolezza e trasformare stoicamente l’aggressività in mitezza, l’offesa in complimento, l’ostilità in accettazione.
Forse siamo ancora in tempo: ma nella comunicazione, sia reale che virtuale, dalle critiche costruttive a quelle distruttive il passo è breve. Almeno questo dobbiamo tenerlo a mente. E sentirci meno dispensatori di verità assolute. E più semplicemente essere umani, senzienti, ma fallaci.
Perché continuiamo a parlare di violenza domestica?
Il fenomeno della violenza domestica è sempre esistito, ma solo negli ultimi anni si è giunti ad una visione più completa, riuscendo a capirne le reali dimensioni.
Violenza sulle donne, violenza coniugale o violenza domestica
Il fenomeno della violenza domestica (denominazione recentemente considerata più appropriata di violenza di genere) è sempre esistito. Tuttavia negli ultimi anni la percezione della gravità di tale fenomeno è apparsa di fondamentale importanza. Questo perché finalmente si è giunti ad una visione più completa dell’accaduto, riuscendo a capirne le reali dimensioni.
Non si tratta più, come veniva considerata un tempo, di un fatto privato, ma di un comportamento culturalmente aberrante, che trascina donne ed intere famiglie in un vortice di violenza senza fine. E solamente con il chiaro obiettivo di interrompere questo vortice, si può apportare un reale cambiamento.
Finché, infatti, prevarranno stereotipi che portano a differenze di genere nei ruoli, nel potere, nel diritto e nella dignità della persona, non si potrà fare alcun passo avanti.
Uomini e donne sono diversi, e non solo anatomicamente. Hanno modalità di comportamento, linguaggio e visione del mondo, in gran parte determinate culturalmente.
La spirale della violenza è determinata in comportamenti tipici nelle tre fasi del “ciclo della violenza”:
Partner maltrattante con una prima fase di accrescimento della tensione, caratterizzato da critiche, minacce, urla, grida o anche mettere il broncio, essere di cattivo umore. Vi può essere anche la mancanza di manifestazione di affetto, fino alla rottura di oggetti.
La seconda fase è l’esplosione della violenza attraverso maltrattamento fisico e psicologico, quindi dal picchiare, percuotere, soffocare, umiliare, segregare o sortire entrambe le forme di violenza fisica e psicologica, nello stupro.
Vi è però anche la terza fase, quella del pentimento, in cui il carnefice supplica la vittima di essere perdonato, promette che non accadrà più, torna a casa con fiori o regali. E’ questa la fase che porta ad un ripensamento, nella donna, e concede di ricominciare.
Solitamente l’uomo, dopo un breve periodo di tranquillità, torna a ripetere le azioni del ciclo, più e più volte.
Come nella disintossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti, anche l’uomo che perpetra violenza in ambito domestico, va aiutato. I migliori percorsi di cambiamento sono infatti stati sviluppati prendendo in carico uomini autori di violenza contro le donne (es. associazionerelive.it), poiché non è abbastanza allontanare la donna dall’uomo brutale.
Ma serve fare molto di più: affinché diminuiscano sempre più i casi di maltrattamento domestico, serve iniziare dalle scuole e dai bambini. Sono infatti necessari programmi che permettano di sviluppare fin da giovanissimi la reale parità dei generi, superando condizionamenti che, nell’arco dei secoli, hanno portato all’errato modello di differenza tra uomo e donna, in termini di diritto, forza e dignità.
I preconcetti sono duri a morire, ma una mente aperta, equilibrata e lungimirante sa che solo capendo le differenze e utilizzando le peculiarità di ognuno si potrà entrare in una nuova era, libera da violenza domestica.
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Una testimonianza: Marito amore incubo
DECLUTTERING o scuse?
Viviamo in abitazioni stracolme di oggetti poco utili o del tutto superflui, di cui però fatichiamo a privarci.
Anni fa si parlava di feng shui, modalità di rimettere ordine della propria casa e nella propria vita.
Ora si parla di decluttering, liberarsi dalle cose accessorie, ma in fondo stiamo parlando della stessa cosa: trovare il modo adeguato per riuscire a sganciarsi del superfluo per vivere meglio.
Non è impresa facile, poiché le cose, aldilà del loro valore, posseggono un significato affettivo, nel bene e nel male. Ed è per questo che non risulta così facile affrancarsi da loro.
Tanto che spesso viviamo in un'abitazione stracolma di oggetti poco utili o del tutto superflui, di cui però non riusciamo a privarci per i più svariati motivi: ci ricordano una persona, ci riportano ad un periodo precedente della nostra vita, ci sembra uno spreco buttarli, perché sono stati raramente utilizzati o li vediamo da così tanto tempo, da esserne affezionati (riempiono uno spazio emotivo).
Sembrano tutte buone ragioni per mantenere lo status quo, tuttavia, giunge il momento in cui il decluttering risulta la soluzione migliore. Questo relativamente alla bellezza, all'ordine, alla pulizia della nostra casa ma anche, se non soprattutto, al nostro benessere.
E lo sappiamo da tempo, razionalmente concordiamo sul fatto che dovremmo liberarci di molte cose, ma il blocco che ci impedisce di farlo bypassa la ragione, formando un muro resistente di emotività.
E allora, chiediamo aiuto al pensiero formale e creativo: “questo può sempre servire”, “questo lo posso utilizzare per altri usi”, “questo sta bene sullo scaffale”, “questo altro rende armonico il ripiano”.
All’improvviso, davanti alla decisione di dare una svolta all’ambiente stipato di oggetti, ecco che valutiamo e ponderiamo attentamente tutte le scuse possibili per fare marcia indietro.
Non ultima il fatto che oggi siamo stanchi e che – non casca il mondo – lo possiamo fare domani.
Da un punto di vista psicologico il non riuscire a lasciar andare, denota una certa immaturità, livelli di autostima scarsi, insicurezza e bisogno eccessivo degli altri.
Possiamo però migliorarci e divenire più felici, attraverso lo sforzo decisionale di modificare questo aspetto della nostra vita. In fondo, sono solo cose.
Come? Gli oggetti possono essere venduti (anche online), regalati o scambiati, ma solo con qualcosa che ci serve veramente. Donare poi è un atto che ci rende felici.
Impariamo a fare una sorta di decluttering anche con le persone, con le app, con i gruppi in cui siamo stati inseriti, nostro malgrado.
L’essenziale diventa libertà di scelte consapevoli e profondamente benefiche.