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Il paradosso è servito: 2018, scuola e comunicazione ai tempi della preistoria

La parola scuola deriva dal latino schŏla e dal greco σχολή, che significa ozio o libero e piacevole uso delle proprie forze. Significato da cui la nostra scuola è molto lontana. E ciò che al suo interno accade  riflette una crisi della scuola, e più generale, nelle relazioni e nei rapporti interpersonali.

È sorprendente come per indicare un luogo dove i ragazzi giovani assieme all'insegnante debbano rimanere buona parte della giornata per tanti anni in maniera più o meno obbligatoria si utilizzi la parola scuola che deriva dal latino schŏla e dal greco σχολή che significa ozio o libero e piacevole uso delle proprie forze.

Sarà per questo che la scuola non funziona?

Perché è strutturata in maniera completamente diversa dal significato originario che aveva il giusto senso.

In alcuni paesi del Nord Europa,  la scuola ha una struttura di studio risultante da momenti esperenziali e altri di riposo. I ragazzi sono liberi di curiosare e soffermarsi sulle diverse materie, seguiti naturalmente da docenti preparati, non a insegnare la propria materia, ma ad avere un bagaglio culturale di conoscenze trasversale a molte materie, quindi in grado di affrontare i temi più disparati. I ragazzi in questo modo possono imparare piacevolmente, ma anche fermarsi a  giocare,  dormire e tornare allo studio liberamente, in maniera non coercitiva, in modo ottimale per il corpo e per la mente. 

Questa dovrebbe essere la vera scuola in tutto il mondo, ma di fatto non è così.

Se diamo un'occhiata al mondo, per l'appunto, vediamo che ogni tanto in America i ragazzi imbracciano fucili o impugnano pistole e sparano ad insegnanti, a coetanei, perlopiù senza una ragione (almeno apparente). E la soluzione di fondo non può essere armare i professori, questo porta ad un vortice di degrado sociale e psicologico da cui sarà sempre più difficile uscire.

In Europa e Italia questo non succede perché c'è una legge molto più severa riguardo all’uso alle armi, altrimenti io temo che qualche episodio simile succederebbe anche anche da noi.

Qui invece succede qualcosa di diverso, decisamente indicativo della crisi della scuola, ma non solo, riflette una crisi più generale, nelle relazioni e nei rapporti interpersonali.

Qui succedono episodi in cui uno studente aggredisce il professore, e se lo fa viene difeso dai genitori.

Insegnare diventa quindi un mestiere sempre più pericoloso tanto più che i ragazzi si sentono autorizzati alla mancanza di rispetto verso quell’adulto  che sta in un'aula con loro, per cercare di trasmettere conoscenza utile al proseguo della loro vita.

Un ragazzino si sente sicuramente autorizzato ad esprimere l'aggressività in maniera primordiale, quando sa che alle spalle c’è una famiglia che qualsiasi cosa faccia lo considererà innocente.

Il grosso problema, il rischio futuro sarà che quello stesso ragazzo che ha insultato un insegnante e poi aumentato il tiro aggredendolo fisicamente, potrà aumentare ancora il tiro e fare anche molto peggio, arrivare ad uccidere per esempio, perché ha imparato che ci sarà sempre qualcuno dalla sua parte per partito preso.

In questo modo il danno è fatto, perché l’incapacità di discernere tra il bene e il male, lo inciterà a sentirsi in diritto di fare qualsiasi cosa, la legge del più forte. 

In fondo l'errore più grande è proprio questo: non trasmettere i valori di una vita comunitaria, semplicemente rispetto, collaborazione e comprensione dell'altro.

Quindi si torna l'età della pietra, quando sussistevano molte difficoltà a comunicare e quindi si passava alle vie di fatto, si arrivava facilmente alle mani.

Il vero paradosso consiste in questo: nel 2018, in un'epoca in cui non si fa altro che comunicare, in tutti modi possibili, di fatto si torna all'aggressività tipica di chi non è in grado di comunicare.

Le persone infatti che prediligono l’uso delle mani, sono persone che non sono capaci di esprimersi in maniera più evoluta.

Se questo lo fa il ragazzo, con l'esuberanza dell'età, andrebbe ovviamente frenato, ma se nessuno lo contiene, lui penserà che quello sia l'unico modo di comunicare: istintuale, diretto, senza il bisogno di utilizzare le funzioni cognitive come il ragionamento, il pensiero, il linguaggio, il problem solving (che così non si affinano).

Forse in famiglia tutti comunicano con le mani invece che con la bocca e con la testa. O forse non vi è nemmeno la consapevolezza che qualcosa abbia preso la direzione sbagliata.

La scuola così com’è non funziona più da troppi anni, anche se vi sono ottimi insegnanti. È una modalità che funzionava sino al secolo scorso, bisogna ripensarla.

Ma per ripensare una scuola sul modello scandinavo, serve concentrarsi prima di tutto sui rapporti tra le persone, quindi su un'educazione alla corretta relazione con gli altri, aspetto questo che non viene preso in considerazione né in famiglia né a scuola, purtroppo.

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Panico morale Vs. sindrome nostalgica

Il Panico morale, è un diffuso timore che un qualche male minacci il benessere della nostra società.

Un essere umano su sette prova l'esperienza della migrazione. L'idea di rifarsi una vita altrove è un pensiero che ha almeno un terzo dell'umanità.

La maggior parte delle persone sceglie spontaneamente di stabilirsi altrove, una parte come sappiamo è costretta invece per sfuggire alla guerra, alla povertà e alla miseria.

Qui si ripropone l’annosa questione tra la diversa concezione e considerazione che abbiamo di noi e degli altri. Se decidiamo di andare a vivere in un qualsiasi altro punto del mondo, noi abbiamo fatto una scelta, più o meno ponderata, che ci porterà a vivere presso altri esseri umani che consideriamo uguali a noi.

Quando invece altre persone decidono di migrare, per motivi diversi e si stabiliscono vicino a noi, ecco che la questione cambia: non sono uguali a noi, il concetto di migrante assume una connotazione negativa e l’emozione primaria che proviamo è la paura.

Chiediamoci: Cosa proveremmo se noi migrati in un altro punto del mondo, percepissimo la paura degli abitanti locali nell'incontrarci, nel vederci, nel parlarci? Assurdo no?, siamo come loro!

Però evidentemente questo non vale per tutti.

Infatti, quando a vivere vicino a noi sono migranti di altre parti del mondo, siamo assaliti da quello che viene definito Panico morale, ovvero un diffuso timore che un qualche male minacci il benessere della nostra società. Gli stranieri generano ansia, perché si comportano in maniera diversa da noi, hanno usanze diverse e in qualche maniera modificano il nostro stile di vita così confortevolmente familiare.

Da un punto di vista psicologico possiamo parlare di mixofobia, paura dell’ignoto, di ciò che non conosciamo, che è diverso dai nostri abituali canoni di vita.

Susan Matt, studiosa americana delle migrazioni, ci parla della sindrome nostalgica del migrante.

Oggi, nell’era dell’instant communication può sembrare anacronistico parlare di nostalgia, “sembra quasi che le emozioni e i danni affettivi dell’emigrazione siano un ostacolo imbarazzante sulla strada del progresso e della prosperità individuale”.

In realtà molti migranti, in un ambiente che difficilmente li comprende, provano vissuti di spaesamento, depressione e sindrome da stress di acculturazione.

Quando le persone dicono che il migrante deve adattarsi alla nostra cultura, si rendono veramente conto delle difficoltà che ha una persona, che proviene da un paese completamente diverso dal nostro? Non è solo una questione di volontà, ma di reali difficoltà culturali, le stesse che avremmo noi se andassimo ad abitare in luoghi lontani.

In alcuni casi, si parla anche di psicopatologia delle migrazioni: si tratta di sindromi specifiche che derivano da anomale risposte individuali ai problemi Bio Psico socio culturali. Sono sindromi connesse alla perdita, culturalmente caratterizzate, connesse al processo migratorio, se non a violenze geopolitiche subite.

Di questo siamo capaci di tener conto?

Condivido la domanda di Rampini, che afferma: “Ma è proprio vero che il 21º secolo ci ha reso tutti cittadini del mondo, cosmopoliti e flessibili?”

A guardarci attorno, temo proprio di no, cosmopoliti e flessibili lo siamo al massimo per quei 10-15 giorni di vacanza in cui l’Altro è gioia e scoperta da raccontare.

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Hikikomori : il nuovo fenomeno che colpisce gli adolescenti

Sono giovani dai 14 ai 25 anni, soprattutto maschi e figli unici, apparentemente solo schivi e solitari, ma che nascondono un forte malessere che non riescono a condividere con nessuno.

Il termine deriva da una sindrome conosciuta da tempo in Giappone, ora in forte crescita anche in Italia.

Sono giovani dai 14 ai 25 anni, soprattutto maschi e figli unici, apparentemente solo schivi e solitari, ma che nascondono un forte malessere che non riescono a condividere con nessuno.

Hikikomori è un fenomeno nato in Giappone, ma dilagato similmente dapprima in Nord Europa e negli Stati Uniti, poi nel resto dell'occidente, tanto che è stato ribattezzato Social Withdrawal , ovvero isolamento e ritiro dalla società.

I ragazzi che ne sono colpiti trascorrono la loro vita sempre isolati in casa, per la maggior parte del tempo nella loro stanza e non hanno desideri, tranne quello di vivere da soli, senza contatti sociali. Non vanno a scuola e non lavorano. Impiegano il loro tempo davanti a videogiochi, internet, leggendo fumetti o guardando la tv. E' una modalità patologica che si distingue dalle dipendenze tecnologiche, proprio perché non vi è l'utilizzo di un unico mezzo attivo (es. pc), ma anche quello di mezzi passivi con tv e giornali.

Le cause di questo fenomeno sono molteplici, (può iniziare da episodi di bullismo, fallimenti scolastici o sollecitazioni competitive familiari), ma certamente alla base vi è una fragilità caratteriale importante, che allontana il ragazzo dalla stessa possibilità di essere aiutato. Poiché non vuole vedere nessuno e limita anche i rapporti con i propri genitori, ancor meno accetterà l'aiuto di un professionista.

Questi giovani sono caratterizzati principalmente da due caratteristiche: una bassa autostima che li fa sentire inadeguati ad affrontare il mondo e un'ansia sociale, dove l'altro viene vissuto come soverchiante e giudicante (e quindi il loro pensiero disfunzionale è di non essere mai all'altezza).

Il Social Withdrawal comporta pertanto un ritiro relazionale e una autoesclusione dal mondo che evidenzia una seria crisi del ragazzo, ma anche una enorme sofferenza dei genitori che non sanno come affrontare il problema.

E allora, cosa fare?

Il ragazzo non chiederà aiuto, perché lui sta bene rintanato nella sua stanza. Quindi l'intervento di uno psicologo, in questi casi, è al domicilio, dove il percorso psicoterapeutico sarà accompagnato da brevi uscite nella vita reale con il ragazzo e nel contempo vi sarà una ristrutturazione cognitiva per migliorare l'autostima, la sicurezza e renderlo così in grado di tornare a confrontarsi con il mondo esterno.

 

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Sex? Yes, please La sessualità nella disabilità

Il diritto ad una salute sessuale è trasversale ad età e condizioni fisiche; ma in presenza di un handicap si trascura la possibilità che una persona abbia bisogno di vicinanza fisica e piacere da convivere con l'altro.

Con Sessualità alterabili, il prof. Stefano Federici dell'università di Perugia, intende lo sviluppo dell'identità sessuale e dell'immagine del proprio corpo , un corpo sessuato, ma in gran parte alterato, compromesso e frustrato da stereotipi sociali diffusi nelle diverse culture.

Il disabile ha una diversa visione del mondo e quindi della normalità di un corpo, dei suoi bisogni e delle sue funzioni.

Ma la visione parziale, antiquata e superficiale che di questo tema hanno le persone “normali” fa molto riflettere.

Il diritto ad una salute sessuale è trasversale ad età e condizioni fisiche. Ma sembra che sia davvero difficile comprenderlo. Come per l'anziano, anche in presenza di un handicap, a tutte le età adulte, si trascura la possibilità che una persona abbia desideri sessuali, bisogno di vicinanza fisica e piacere da convivere con l'altro.

E questo perché, in un'ottica che limita l'idea di normalità e spinge il concetto di diversità verso i confini dell'accettabile, non si riescono ad immaginare persone con limitazioni fisiche anche importanti, vivere l'esperienza di un piacere intenso o di un orgasmo.

E' più facile seguire il vecchio tracciato che nel secolo scorso ci ha impresso stereotipi appena accennati: disabilità significa asessualità. Se non è così è stranezza, è devianza.

E allora, come mai anche queste persone amano, ridono, si informano, si divertono, mangiano, dormono...?

I bisogni fondamentali dell'uomo rispondono ad un benessere complessivo che rientra nel modello di salute: promozione e protezione dei diritti sessuali per tutti è stato un elemento centrale e uno degli obiettivi di sviluppo per questo millennio, da parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.

 Ma i pregiudizi sociali sono duri a morire.

Infatti, in molti programmi di educazione sessuale l'aspetto della disabilità viene ignorato, mantenendo e perpetuando in questo modo l'idea della persona disabile asessuata.

Ritengo che il lungo lavoro di consapevolezza dei reali bisogni di coloro che pensano e parlano, proprio come tutti noi, ma hanno un corpo in diverse misure compromesso, debba iniziare dalla sensibilizzazione della popolazione  (es. film "Senza peccato" di Marco Toscani) e dalla educazione al diverso.

O meglio: disabile, diverso non tanto.

APPROFONDIMENTI

Sipaa

Senza...peccato

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La semplicità di essere genitori - Genitori sempre più arrabbiati e insoddisfatti. Ma i figli ci chiedono gioia.

Oggi i genitori  pensano di essere più informati e attenti, ma in realtà spesso hanno perso di vista il focus dell'educazione: condividere momenti di gioia con i figli.

Essere genitori è sempre più difficile, ma questo lo si diceva anche 30 anni fa. Forse anche 100 anni fa. In effetti, cos'è cambiato?

Voi dite: il mondo! E con esso intendete le scoperte scientifiche, l'informatica, le comunicazioni sempre più veloci e globali.

Ma questa è solo una parte del mondo: quella intorno a voi. Invece, dentro di voi, che cosa è veramente cambiato?

Siamo essere umani, con gli stessi limiti e le paure che avevano i nostri avi. Solo che oggi pensiamo di sapere tutto, di essere i più informati, i più svegli, i più attenti, i più perspicaci.

E invece abbiamo perso di vista il focus dell'educazione: condividere momenti di gioia con i nostri figli.

Siamo stanchi, anergici, tristi e più di tutto arrabbiati. La nostra rabbia non sfocia in violenza fisica, ma trasuda dai nostri occhi, dai movimenti scattosi, dai comportamenti imperiosi.

E più ancora da non salutare, da inveire contro chi  non parte immediatamente al verde del semaforo, dalla sensazione di avere più diritto di altri a qualcosa.

Siamo spossati, insoddisfatti e rancorosi.

L'adulto di oggi ha perso una buona parte dei punti di riferimento che un tempo mantenevano salda la capacità di gestire una famiglia e i rapporti interpersonali in generale.

Certo, i punti di riferimento cambiano, ma attualmente sembrano invisibili agli occhi dei più. In realtà alcuni aspetti sono immutati e immutabili nel tempo: parliamo di rispetto, gentilezza, collaborazione, condivisione.

I valori universali che dovremmo trasmettere ai nostri figli, ma che non possiamo, poiché li abbiamo persi di vista noi per primi.

Non lamentiamoci poi di avere dei figli “difficili”: non siamo riusciti a trasmettere loro le basi di una sana convivenza e di una vita felice. E questo perché noi non siamo felici.

La parola d'ordine è semplicità.

Riusciamo ogni giorno a complicarci la giornata e la vita. E non ne possiamo più.

E allora tutto ci dà fastidio, tranne il disturbo che arrecano i nostri figli agli altri, perché in maniera inconsapevole godiamo nel far sorbire al prossimo il risultano nella nostra incapacità di educare. E' un po' come dire: “Me li devo sorbire tutti i giorni, ora sopportateli un po' anche voi!” perché i bambini sono intoccabili e poco importa se superano ogni limite ammissibile. Sono bambini!

Ma i genitori sono adulti e dovrebbero comprendere ciò che è meglio per i loro figli: senza limiti cresceranno senza regole e si troveranno disorientati e aggressivi in un mondo adulto che non li accetterà. Saranno out. Fragili o patologici.

L'educazione di base è andata persa? Si può recuperare. Ma il cambiamento, benché comporti una grande fatica, dovrà iniziare dentro di noi adulti, da semplici domande: “Come posso essere felice e trasmettere così la gioia di vivere ai miei figli e alle nuove generazioni?”

Alternando la mia vita frenetica con momenti di stop, nel silenzio e nella natura. Diminuendo così ansia, stress e pensieri arroganti. E godere di piccoli squarci di vita ignorata che ruota attorno a noi. Dalla mente, attraverso i occhi e senza la parola: un sorriso complice diretto a mio figlio e con lui andiamo alla scoperta del mondo, spogliandoci del nostro sapere.

Torno con lui al mio me bambino. Riderò con lui e starò meglio. Staremo tutti meglio. Anche coloro che stanno nel tavolo a fianco al ristorante e probabilmente - anziché subire lamentele e capricci per tutta la durata della cena - sentiranno toni scherzosi e risate. Poi, si sa, le risate sono contagiose e avverrà uno spargimento di buonumore, raro quanto vitale di questi tempi.

 

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Genitori digitalmente distratti - Ecco perché i bambini sono sempre più fragili

Sono in costante crescita i fanciulli con grosse difficoltà emotive. La causa? Anche l'esempio di genitori troppo distratti dai social network.

Non è nel mio stile sensazionalizzare e tanto meno allarmare inutilmente le persone.  Tuttavia ciò che riporta una psicoterapeuta canadese, Victoria Prooday, deve almeno far riflettere.

La collega parla di una tragedia silenziosa che si consuma nelle nostre case, sotto i nostri occhi, senza che ne abbiamo consapevolezza.

Nel suo lavoro di psicologa ed ergoterapista ha incontrato  migliaia di bambini e ha notato che in numero sempre crescente sono fanciulli con grosse difficoltà emotive.

Sappiamo che alcune notizie non sono effettivamente confortanti, visto che studi statistici confermato il progredire negli ultimi 10 anni di disturbi psicologici nei bambini e nei ragazzi.

Questi i dati:

– 1 bambino su 5 ha problemi di salute mentale
– I disturbi dello spettro ADHD (deficit di attenzione/iperattività) sono aumentati del 43%
– Fra gli adolescenti, la depressione è aumentata del 37%
– Nei ragazzi tra i 10 e i 14 anni, i suicidi sono aumentati del 200%.

Quante altre prove ci servono per svegliarci?

Secondo la Prooday la causa è nella inadeguata relazione con i genitori insieme ad ambienti eccessivamente stimolanti.

Dice l'ergoterapista: “Oggi i bambini vengono privati delle basi per un’infanzia sana, cioè: genitori emotivamente presenti, limiti ben definiti e figure di guida, responsabilità, alimentazione equilibrata e numero adeguato di ore di sonno, movimento e vita all’aria aperta, gioco creativo, interazioni sociali, opportunità di avere del tempo libero e momenti di noia”.

Al contrario, oggi i bambini osservano che sono rimproverati di trascorrere troppo tempo davanti a pc, tablet o smartphone  da quegli stessi genitori che appaiono loro “digitalmente distratti”, sempre a comunicare su chat e  social network. Con il loro esempio rendono i figli sempre più disorientati e insicuri.

Cosa fare dunque?

“Occorre fermarsi e attuare cambiamenti fin da subito nella vita dell'intera famiglia, che parta da momenti insieme all'aria aperta, all'uso limitato di dispositivi informatici, alla gestione delle emozioni, ai no, fondamentali per crescere, agli abbracci, ai sorrisi, al trasmettere poliedriche modalità di vivere in armonia con se stessi e con gli altri.

Ma poiché i genitori digitalmente distratti non sono in larga misura consapevoli di esserlo e crescono in maniera esponenziale, vorrei consigliare caldamente un ottimo libro, appena uscito: “Genitori Online” di Cordella, Bertolla, Chirico, Grieco (Reverdito Editore, 2017) in cui ritrovarsi e riflettere sul significato di essere genitori oggi.

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Montagna o montagnaterapia? Ritrovare se stessi nella natura e nel silenzio

La Giornata mondiale della montagna, istituita dalle Nazioni Unite nel 2002, in occasione dell’Anno mondiale delle montagne, ed entrata in vigore nel 2003, è nata con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza dell’importanza delle montagne per la salute del pianeta e per il benessere di miliardi di persone.

Oggigiorno si utilizza il termine terapia come suffisso per ogni parola: anche la montagna si trasforma in montagnaterapia, ma vorrei fare chiarezza: questo termine si utilizza specificatamente come “approccio a carattere terapeutico-riabilitativo e/o socio-educativo, finalizzato alla prevenzione, alla cura ed alla riabilitazione degli individui portatori di differenti problematiche, psichiatriche, fisiche, emotive e cognitive. Essa ha l’obiettivo di migliorare la salute globale della persona affetta da questo tipo di patologie.”

Quindi meglio parlare in generale di giovamento alla salute in montagna.

La Giornata mondiale della montagna, istituita dalle Nazioni Unite nel 2002, in occasione dell’Anno mondiale delle montagne, ed entrata in vigore nel 2003, è nata con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza dell’importanza delle montagne per la salute del pianeta e per il benessere di miliardi di persone.

La montagna fa bene a tutti, perché chiunque di noi sia stato in cima ad una vetta o semplicemente in una malga o in una vallata, ha sperimentato la quantità enorme di benessere psicofisico che i paesaggi, il verde, la natura, l'aria pura e il silenzio hanno impresso e cementato dentro di noi.

Sono quindi una fonte straordinaria per il miglioramento della salute del nostro corpo e per la seraficità della nostra mente.

Eppure, come sostiene Eduardo Rojas-Briales del Dipartimento Forestale della FAO

“Le montagne, che coprono un quarto della superficie terrestre e ospitano il 12% della popolazione mondiale, sono tra gli habitat più minacciati: deforestazione, sfruttamento indiscriminato del territorio, alti tassi di emigrazione, portano - insieme ad attività minerarie e turismo spesso mal gestiti – gravi danni per l’ecosistema.”

Credo che a livello personale ognuno di noi possa fare molto quando vive e si muove in ambiente montano: non distruggere la flora, ma ammirarla, fotografarla e viverne l'essenza in quell'istante. Ammirare gli animali e non provare a toccarli o spaventarli; non lasciare rifiuti, aspetto che dovrebbe risultare scontato, ma che invece abbisogna ancora di fermi moniti, poiché oltre a distruggere il territorio, sono dannosi per gli animali del bosco.

Solo con questi pochi, ma fondamentali accorgimenti, possiamo trasformare la montagna in una grande fonte di benessere che rigenera corpo, mente e spirito, nel rispetto del territorio e di tutte le forme viventi.

 

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Giornata Mondiale dei Diritti Animali

Marguerite Yourcenar sosteneva che “gli animali hanno propri diritti e dignità come te stesso. È un ammonimento che suona quasi sovversivo. Facciamoci allora sovversivi: contro ignoranza, indifferenza, crudeltà”.

Il 10 dicembre è la Giornata Mondiale dei Dirittti degli Animali.

La scrittrice Marguerite Yourcenar sosteneva che “gli animali hanno propri diritti e dignità come te stesso. È un ammonimento che suona quasi sovversivo. Facciamoci allora sovversivi: contro ignoranza, indifferenza, crudeltà”.

L'Assemblea delle Nazioni Unite nel 1948 redige la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, in essa viene dichiarato che il rispetto e la dignità per ogni essere umano devono essere le basi fondamentali per la libertà, la giustizia e la pace nel mondo.
Nel 1998 è stata isituita anche la Giornata Internazionale per i Diritti Animali. È stata chiesta dall’associazione animalista inglese Uncaget Campaigns per evidenziare gli abusi che vengono perpetrati ai danni degli animali, i quali non possono votare, protestare o avere appoggi politici.

L’obiettivo della giornata è ricordare che libertà e giustizia sono valori fondamentali per ogni singolo individuo, a prescindere da razza, genere o specie.

E' di pochi giorni fa il video che l'attivista Paul Niclen ha pubblicato sul web, dove si assiste all'agonia di un orso polare, denutrito e con le zampe atrofizzate.

Non capire che la continua estinzione di un numero sempre crescente di specie porterà alla morte anche la specie umana, è caratteristico del nostro tempo, in cui – dopo aver detto poverino – passiamo oltre, al prossimo video strappalacrime o meglio esilarante.

L'importante è non pensare. E' consumare, in fretta.

Ho scritto altri articoli sull'importanza di prenderci cura del mondo in cui viviamo: è il modo migliore per prendersi cura di noi stessi e delle persone che amiamo.

Ma gli animali, per molte persone ancora, sono solamente oggetti da trasformare in cibo, pellicce, o schiavi per il nostro divertimento.

Innumerevoli studi, da Darwin in poi, concordano sulle capacità degli animali di provare le nostre stesse emozioni: gioia, tristezza, rabbia, paura, disgusto, sorpresa.

Marc Bekoff, famoso etologo cognitivo, sostiene che molte specie hanno grandi capacità intellettive, emotive e morali. E che non sono guidati solo dall'istinto. Piuttosto pensano in modo attivo. Sono flessibili, coscienti, versatili, e in grado di valutare come comportarsi in una determinata situazione. Hanno anche coscienza si sé e degli altri: elefanti, scimmie e delfini si riconoscono alla specchio, mostrano empatia e aiutano gli altri membri del gruppo. Provano anche dolore emotivo, per esempio per la morte di un proprio simile.

Pensando a come li sfruttiamo e li trattiamo, d'altro canto, viene seriamente da chiedersi se sia poi così scontato che l'essere umano (sempre meno empatico e sempre più egoista) rappresenti la specie più evoluta della Terra.

 

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