Il tempo spezzato: come percepisce il tempo chi ha la demenza
La percezione del tempo è una delle funzioni più sottili e complesse del cervello umano. È attraverso di essa che costruiamo senso, orientamento, sicurezza.
Nelle patologie neurodegenerative, e in particolare nell’Alzheimer, questa percezione si altera in modo profondo. I neuroscienziati parlano di discronia: la perdita della capacità di collocare correttamente gli eventi nel tempo.
Per chi convive con la demenza, il tempo non è più lineare.
Accade qualcosa di difficile da comprendere per chi osserva da fuori:
Il passato può irrompere nel presente con la forza di un evento attuale.
Il presente si dissolve in pochi istanti, come sabbia tra le dita.
Il futuro perde consistenza: non è più un’idea stabile o raggiungibile.
Le sequenze temporali non seguono più un ordine logico.
Le emozioni non si agganciano al contesto ma emergono da uno stato interno che permane.
Da qui nasce un fenomeno noto a chi si occupa di cura: il loop emotivo.
Un sentimento si attiva e resta. Non importa se la causa è svanita: la mente non riesce più a chiudere il cerchio.
Così, una piccola preoccupazione può trasformarsi in ansia persistente.
Una semplice frustrazione può ripetersi all’infinito.
Un ricordo doloroso del passato può diventare presente, reale, tangibile.
Non si tratta di un’esagerazione o di un capriccio. È che la persona non riesce più a collocare il tempo. E se il tempo non ha più una direzione, ogni emozione può restare intrappolata.
Ecco perché è così importante costruire una temporal scaffolding:
un’impalcatura temporale fatta di micro-rituali quotidiani, sempre uguali, sempre riconoscibili.
Routine prevedibili, orari stabili, segnali ambientali ripetuti diventano fondamentali per offrire una traccia, un ritmo.
Nel tempo frammentato della demenza, la prevedibilità diventa un rifugio, un porto sicuro.
Un modo per offrire continuità, quando tutto il resto si sfalda.