Le mani che non stanno ferme: strategie per i comportamenti ripetitivi nell’Alzheimer
Molte persone con Alzheimer compiono azioni ripetitive e apparentemente senza senso. Ma dietro questi gesti c’è un bisogno profondo di sicurezza e presenza. Osservarli con uno sguardo diverso può aiutare ad affrontarli con maggiore serenità.
Uno dei comportamenti più frequenti nelle persone con Alzheimer è il cosiddetto affaccendamento afinalistico: una serie di gesti ripetitivi e continui, apparentemente privi di scopo, come piegare e spiegare un fazzoletto, aprire e chiudere cassetti, sistemare una borsa o spostare oggetti da un punto all’altro.
A chi osserva da fuori, questi comportamenti possono sembrare inutili o addirittura irritanti.
Ma per chi li compie, sono un modo per tenere occupata la mente, calmare l’ansia e dare un senso al tempo che scorre.
Cosa c'è dietro i gesti ripetitivi nell'Alzheimer?
Dietro questi movimenti non c’è solo automatismo. C’è un bisogno profondo di sentirsi attivi e utili.
L’Alzheimer può cancellare ricordi e certezze, ma la necessità di “fare” con le mani resta una forma di espressione e sicurezza.
Come affrontare l’affaccendamento afinalistico?
Invece di contrastarlo o correggerlo, è più utile canalizzarlo in attività sicure e, se possibile, significative.
Consigli pratici per i caregiver
Non ostacolare i gesti: se la persona piega lo stesso panno o sistema oggetti, lasciamola fare, se non comporta rischi.
Proporre oggetti da manipolare: cuscini sensoriali, stoffe morbide, palline antistress, bambole terapeutiche, bottoni o mollette da infilare e sfilare.
Creare “compiti simbolici”: piegare asciugamani, abbinare calzini, sistemare carte in un contenitore. Piccoli gesti che rassicurano.
Favorire gesti legati al passato: chi cuciva può simulare attività con ago e filo, chi amava il giardinaggio può maneggiare semi o vasetti con terra.
Evitare rimproveri o interruzioni brusche: aumentano ansia e agitazione. Meglio accompagnare con calma e proporre alternative.
Osservare i segnali: a volte questi comportamenti indicano fame, sete, dolore o bisogno di muoversi.
E per chi assiste?
Accettare l’affaccendamento afinalistico significa alleggerire la fatica del controllo continuo. Non tutto deve avere uno scopo produttivo.
Anche un gesto ripetuto può essere terapeutico, se genera calma e presenza.
Concedersi di osservare con occhi diversi questi comportamenti aiuta a ridurre la frustrazione e a vivere con maggiore serenità la quotidianità della cura.
Un messaggio da ricordare
L’affaccendamento afinalistico ci ricorda che il bisogno di “fare” non svanisce con la memoria.
Resta il desiderio di esistere, di partecipare, di sentirsi ancora parte del mondo.
Sta a noi trasformare quei gesti in occasioni di dignità, presenza e gentilezza.
—-
Ho preparato alcune risorse semplici e concrete, pensate per chi ogni giorno si prende cura di una persona con Alzheimer. Materiali da usare subito, per affrontare con più consapevolezza i momenti difficili, comunicare meglio, adattare l’ambiente, proteggere le tue energie.
Insieme alla risorsa, ricevi anche 30 minuti di consulenza personalizzata, per aiutarti a trovare le soluzioni giuste per te.
Scopri tutte le proposte nella sezione dedicata del sito:
Wandering e Alzheimer: perché la persona si allontana e come gestirlo
Il vagabondaggio nelle persone con Alzheimer può mettere a dura prova chi le assiste. Scopri cosa lo causa, come affrontarlo e quali strategie adottare per proteggere senza limitare.
Uno dei comportamenti più difficili da gestire nelle persone con Alzheimer è il wandering, cioè il vagabondaggio continuo e senza meta. Chi vive accanto a una persona affetta da Alzheimer sa quanto possa essere angosciante vederla alzarsi, camminare per casa o tentare di uscire, spesso di notte o nei momenti meno prevedibili. Il timore che la persona con Alzheimer si allontani o si faccia male è costante, e mette a dura prova i caregiver.
Perché accade il wandering nell’Alzheimer?
Il wandering non è un capriccio né un atto di ribellione. È un comportamento che può avere diverse cause:
Bisogno fisico di movimento: il corpo richiede attività.
Disorientamento spazio-temporale: la persona non riconosce dove si trova o che ora è.
Ansia o ricerca: si cerca una persona, un luogo o una sensazione familiare del passato.
Inversione sonno-veglia: le ore notturne diventano momenti di attivazione.
Come gestire il wandering nelle persone con Alzheimer
Chi assiste deve adottare strategie pratiche per rendere il wandering meno rischioso:
Ambiente sicuro: porte chiuse, allarmi discreti o campanelli per segnalare i movimenti.
Routine giornaliera regolare: orari chiari e prevedibili aiutano a ridurre l’irrequietezza.
Attività fisica diurna: passeggiate o esercizi leggeri aiutano a scaricare l’energia e migliorare il sonno.
Spazi protetti per camminare: corridoi liberi o giardini recintati permettono di muoversi in sicurezza.
Stimoli calmanti: musica rilassante, luci soffuse, fotografie di famiglia possono ridurre l’ansia.
Braccialetti identificativi: fondamentali se la persona con Alzheimer si allontana.
Il ruolo del caregiver
La gestione del wandering richiede presenza costante, ma è essenziale che il caregiver non si esaurisca: chiedere aiuto, fare pause e prendersi cura di sé è fondamentale. Nessuno può farcela da solo.
Un linguaggio silenzioso
Il wandering è un messaggio: la persona con Alzheimer sta cercando qualcosa, forse se stessa. Sta a noi trasformare questo comportamento in un’occasione per prendersi cura, proteggere senza privare della libertà, offrendo presenza e tenerezza.
—-
Ho preparato alcune risorse semplici e concrete, pensate per chi ogni giorno si prende cura di una persona con Alzheimer. Materiali da usare subito, per affrontare con più consapevolezza i momenti difficili, comunicare meglio, adattare l’ambiente, proteggere le tue energie.
Insieme alla risorsa, ricevi anche 30 minuti di consulenza personalizzata, per aiutarti a trovare le soluzioni giuste per te.
Scopri tutte le proposte nella sezione dedicata del sito:
Alzheimer e sonno: quando le notti diventano fragili
Il sonno è uno dei primi aspetti a cambiare con l’Alzheimer: risvegli frequenti, ansia notturna e agitazione mettono alla prova malati e caregiver. Creare routine rassicuranti, curare l’ambiente e chiedere supporto può restituire serenità alle notti di tutti.
Il sonno è uno dei primi aspetti che si altera nelle persone con Alzheimer. Ci sono risvegli frequenti, inversione del ritmo giorno-notte, difficoltà ad addormentarsi o un sonno molto leggero, che lascia chi assiste senza tregua. Non è un dettaglio secondario: la mancanza di riposo logora sia chi è malato sia chi se ne prende cura.
Per chi vive la malattia, il buio può essere fonte di ansia, disorientamento, agitazione. Spesso la persona si alza più volte, vaga per casa, cerca qualcuno, teme di essere sola. Per chi assiste, invece, significa notti interrotte, stanchezza accumulata, una fatica che mina la salute e la serenità.
Cosa si può fare per aiutare?
Creare una routine serale rassicurante: orari regolari, luci soffuse, un ambiente tranquillo.
Limitare caffè, tè e alcolici nel pomeriggio.
Favorire un po’ di attività fisica o passeggiate alla luce del giorno, così da rinforzare il ritmo sonno-veglia.
Mantenere la stanza da letto accogliente, ben ventilata e sicura, evitando rumori o stimoli improvvisi.
Offrire gesti di rassicurazione: una voce calma, un tocco gentile, una musica rilassante.
E per i caregiver?
È importante non dimenticare se stessi: chiedere aiuto a familiari o servizi di sollievo, alternarsi nei turni, ritagliarsi piccoli spazi di riposo durante il giorno. Un caregiver riposato è un caregiver che riesce a dare di più, senza spegnersi.
Parlare di sonno, nell’Alzheimer, significa parlare di qualità della vita. Non ci sono soluzioni miracolose, ma ci sono tante piccole azioni che alleggeriscono il peso e restituiscono un po’ di serenità. Perché dormire meglio non è un lusso: è un bisogno di tutti, di chi dimentica e di chi assiste.
—-
Ho preparato alcune risorse semplici e concrete, pensate per chi ogni giorno si prende cura di una persona con Alzheimer. Materiali da usare subito, per affrontare con più consapevolezza i momenti difficili, comunicare meglio, adattare l’ambiente, proteggere le tue energie.
Insieme alla risorsa, ricevi anche 30 minuti di consulenza personalizzata, per aiutarti a trovare le soluzioni giuste per te.
Scopri tutte le proposte nella sezione dedicata del sito:
Parlare con chi ha l’Alzheimer: il potere della comunicazione semplice e affettuosa
Comunicare con chi ha l’Alzheimer è possibile. Anche quando le parole si fanno rare, gesti, sguardi e toni caldi possono costruire un legame profondo e rassicurante. Scopri consigli pratici per parlare con dolcezza e comprendere davvero chi affronta questa malattia.
Parlare con una persona affetta da Alzheimer non è sempre facile. A volte le parole sembrano perdersi, le frasi si interrompono, i concetti si confondono. Chi ascolta può sentirsi impotente, chi parla può provare frustrazione. Eppure, la comunicazione con chi ha l’Alzheimer non è fatta solo di parole. Il tono di voce, lo sguardo, il contatto fisico, persino il ritmo del respiro possono trasmettere sicurezza, affetto e serenità.
Spesso chi si prende cura di una persona con demenza si trova a ripetere le stesse frasi, a ricevere risposte incoerenti o a dover interpretare parole che non sembrano avere senso. In queste situazioni, la chiave è cambiare prospettiva: non aspettarsi che la persona si adatti al nostro modo di comunicare, ma imparare noi a entrare nel suo mondo. Sapere come parlare con chi ha l’Alzheimer è fondamentale per ridurre stress e migliorare il benessere emotivo di entrambi.
1. Parole semplici e tono rassicurante
Quando la memoria si affievolisce e il linguaggio si confonde, la semplicità diventa essenziale nella comunicazione con chi ha l’Alzheimer. Frasi brevi, chiare, senza troppi dettagli aiutano la persona a comprendere senza sentirsi sopraffatta. È meglio dire:
“Ora pranziamo, e poi riposiamo un po’.”
piuttosto che:
“Adesso mangiamo qualcosa, poi magari facciamo un riposino, così dopo stai meglio e possiamo uscire per una passeggiata se non piove.”
Anche il tono di voce è importante: una voce calma e calda aiuta a evitare tensioni e ansie inutili. Anche se la persona non capisce esattamente le parole, percepisce l’emozione dietro la voce.
2. Il potere del contatto visivo e della vicinanza
Immagina di trovarti in un paese straniero, senza conoscere la lingua. Come ti sentiresti se qualcuno ti parlasse velocemente, senza guardarti negli occhi? Probabilmente confuso e isolato.
Con chi ha l’Alzheimer vale la stessa regola: il contatto visivo è fondamentale nella comunicazione con chi ha l’Alzheimer. Guardare negli occhi, abbassarsi alla loro altezza se sono seduti, accennare un sorriso, sono piccoli gesti che fanno sentire la persona vista e ascoltata.
Anche il contatto fisico, quando accettato, può essere rassicurante. Una mano sulla spalla, una carezza sul dorso della mano, un abbraccio leggero possono comunicare più di mille parole.
3. Non correggere, ma assecondare
Una delle tentazioni più grandi è correggere continuamente la persona quando dice qualcosa di sbagliato. Ma è davvero necessario? Se una persona con Alzheimer dice:
“Ieri ho visto mia madre.”
(quando la madre è morta da tempo), il nostro istinto potrebbe essere quello di riportarla alla realtà:
“No, mamma non c’è più da tanti anni.”
Eppure, questa correzione potrebbe provocare solo tristezza o confusione. Meglio invece entrare nel suo mondo e accogliere la sua realtà con dolcezza. Potremmo rispondere:
“Ti manca tanto, vero? Era una persona speciale.”
Così non neghiamo la sua esperienza e, al tempo stesso, evitiamo di creare inutili sofferenze.
4. Quando le parole non bastano, ci sono i gesti
Quando la malattia avanza, le parole possono diventare più rare, confuse, difficili da formulare. In questi momenti, i gesti diventano la chiave nella comunicazione con chi ha l’Alzheimer:
Mostrare un oggetto invece di nominarlo.
Esempio: “Vuoi bere?” mostrando il bicchiere.Indicare la direzione invece di dare istruzioni verbali.
Esempio: “Vieni con me” accompagnato da un gesto della mano.Accompagnare con il corpo un’azione.
Esempio: “Facciamo insieme” e prendere delicatamente la sua mano per aiutarlo a vestirsi o a lavarsi.
La comunicazione non si ferma mai, cambia forma. E chi sa leggere i piccoli segnali – uno sguardo, un sorriso, un gesto – continua a costruire un legame profondo, anche quando le parole si dissolvono.
Comunicare con chi ha l’Alzheimer significa, prima di tutto, mettersi in ascolto. Non solo delle parole, ma anche delle emozioni, dei gesti, dei silenzi. È un linguaggio nuovo, fatto di pazienza e di dolcezza. Non è sempre facile, ma è uno dei modi più potenti per dire: “Io sono qui, con te.”
—-
Vuoi approfondire?
Ti ho preparato una risorsa semplice e concreta da usare subito per stimolare conversazioni abbinate a una leggera stimolazione cognitiva.
Insieme ricevi anche 30 minuti di consulenza personalizzata, per aiutarti a trovare le soluzioni giuste per te.